Prima che chiudiate gli occhi – Morena Pedriali Errani

Per alcune culture e mitologie il corvo è un animale legato alla dimensione sacrale, messaggero del divino, simbolo di saggezza e metamorfosi. Ma nella tradizione popolare è invece presagio di cattiva sorte e di morte.

Una figura, quella del pennuto color tenebre, che domina l’omonima e famosa poesia di Edgar Allan Poe: «[…] Take thy beak from out my heart, and take thy form from off my door!”». Il corvo parlante, che ripete “Mai più” è la morte che ha sottratto l’amata e conficca nel cuore del narratore il suo becco senza alcuna tregua per l’anima stanca.

Nella stessa veste l’animale si presenta anche a Jezebel, la protagonista di Prima che chiudiate gli occhi di Morena Pedriali Errani: “Un corvo dall’alto di un ramo mi punta il cuore.”. L’eterna Signora che tutto prende e lascia vuoti nel cuore.

Il romanzo, edito da Giulio Perrone Editore e proposto al Premio Strega 2024, narra la storia di una ragazza sinti e della sua famiglia. Jezebel, cresciuta sotto il ventennio fascista, si ritrova a fare i conti con la diaspora perpetua del suo popolo e con la disposizione del 1940, che ordinava l’internamento delle popolazioni romanì nei campi di concentramento italiani. Attraverso un incipit che è un atto di fiducia, salti temporali e cambio di punto di vista, capitoli intervallati dai racconti della tradizione orale intorno al fuoco, l’arte circense e parole della lingua romanì, il lettore viene trascinato all’interno di un immaginario lontano dal proprio modo di stare al mondo. Così la fede negli antenati, la fiducia nella natura e i suoi simboli, il vento che tutto sa e tutto muove, il canto, nulla possono davanti alla miseria umana che la guerra porta a galla. E allora Jezebel (personaggio ispirato a Fiammetta Pedriali, nonna dell’autrice e combattente anche lei) non può far altro che diventare Fiamma, la partigiana che tiene stretto il suo Sten, diventando anche lei parte di un meccanismo che ha un principio ben definito e pare non avere fine.

“La violenza è come un cancro, come la pece. Se ti sporca, sei persa per sempre.”

Il testo è percorso da frasi brevi, a volte brevissime, che tengono il ritmo della fatica nel dar voce a una storia di sofferenza. E la scrittura risulta essere come il vento: porta storie lontane, è una danza, un susseguirsi di movimenti leggeri e turbini che danno vita a figure tipiche della forma poetica.

L’autrice, scrittrice di famiglia sinta e circense e attivista per le minoranze romanì, cuce una narrazione che redime un intero popolo dai luoghi comuni, è testimone e memoria.

Un esordio questo (la prima bozza è sotto forma di racconto, arrivata in semifinale al Campiello giovani 2017) che si può definire degno nipote della lunga e proficua letteratura novecentesca post guerra. Come in Una questione privata di Beppe Fenoglio, la protagonista, scevra da un pensiero politico (nella cultura sinti non vi è alcuna concezione di Stato e governo, vige una struttura abbastanza orizzontale), è mossa verso l’alleanza con i partigiani da un tentativo di sopravvivenza, da sentimenti di rabbia e vendetta che hanno radici nel disumano.

“La rabbia è un veleno dolce.”

È appunto una questione privata più che ideologica. Quando Cielo, il capo del distaccamento, risparmia la vita a un giovane soldato tedesco, ritroviamo quella lieve speranza e solidarietà che va oltre gli orrori della guerra di Uomini e no di Elio Vittorini. Mentre leggiamo che i rom e sinti sono “caduti come foglie strappate da un albero a primavera”,il nostro pensiero non può che andare alla poesia Soldati di Giuseppe Ungaretti (“Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”).

Il titolo, l’incipit, il finale e le fotografie inserite alla chiusura del libro invitano a un esame collettivo di coscienza. In giorni scuri come questi è necessario portare alla memoria il sangue, l’ingiustizia e la lotta.

Qui / vivono per sempre / gli occhi che furono chiusi alla luce / perché tutti / li avessero aperti / per sempre / alla luce.”, Per i morti della Resistenza, Giuseppe Ungaretti.

Essere antifascisti è l’atto politico essenziale che ognuno di noi possa fare per guardarsi allo specchio e dirsi ancora umano.

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